Famosi documenti scritti, suffragati da reperti attendibili, testimoniano la presenza, nel VI secolo, sulle rive dell'Adda, dei Longobardi. A loro dobbiamo il nome della nostra regione, la Lombardia, e quello del nostro paese, FARA.
Autari, terzo re dei Longobardi in Italia, venne eletto nel 585. A lui la tradizione attribuisce l'insediamento della sua tribù o fara sulle rive dell'Adda, luogo che acquistò in seguito notevole importanza, per avervi il re costruito un palazzo ed una basilica di culto ariano, e che da lui si chiamò FARA AUTARENA.
Quasi cento anni erano trascorsi con i Longobardi al potere, quando sulla scena politica italiana apparvero due personaggi "chiave" della nostra storia, il re Grimoaldo e il vescovo Giovanni di Bergamo, autore questi della conversione degli ariani faresi al cattolicesimo.
Sei diplomi imperiali, confermano l'esistenza a Fara, nel secolo VI, di un luogo riservato al culto e dedicato a S. Alessandro martire.
Il monumento anche se diroccato, esiste ancor oggi "sotto gli occhi di tutti", in piazza Roma.
Conosciuta oggi come "oratorio di Santa Felicita", la basilica Autarena conserva ben poco delle sue antiche forme architettoniche. A conclusione di studi, condotti con meticolosa accuratezza, si può assegnare la costruzione della basilica farese alla fine del VI secolo.
Travolto il regno longobardo da Carlo Magno nel 774, la nostra storia, per alcuni secoli, registra quasi unicamente azioni di guerra, vandalismi, invasioni, distruzioni.
Nel 904, il vescovo di Bergamo Adalberto ottenne da Berengario la facoltà di ricostruire e fortificare la città di Bergamo, e di cingere di mura e fossati i paesi del contado. E' da supporre, pertanto, che il vescovo abbia dato corso anche alla fortificazione di Fara: scavò un fossato, alimentato dalle rogge derivate dal fiume Adda; lo cinse di mura e costruì il castello.
Fara, che potremmo definire comune "feudale" ebbe i suoi amministratori pubblici, i consoli, sottomessi, o quasi, al feudatario bergamasco.
Il periodo attorno al Mille sembra caratterizzato da un forte risveglio demografico e da una maggiore produzione agricola. La presenza dei milanesi è ormai un fato documentato, come documentata è la loro ambizione al possesso delle terre, nonché alla "signoria" del paese. E mentre da una parte i faresi ne godevano, dall'altra la faccenda non garbava al vescovo di Bergamo che vedeva minacciata la sua signoria. A lui venne in aiuto l'imperatore Federico Barbarossa che con diploma del 1156 gli aveva riconfermato in pieno la giurisdizione su Fara. Nel 1160 i faresi, sudditi del vescovo Gerardo, si opposero all'imperatore. Ne scaturì una lunga e aspra battaglia, ove l'imperatore riuscì a prendere il castello, che venne raso al suolo, demolì parte delle mura e distrusse il paese.
Nel dicembre del 1306 le aspirazioni libertarie dei faresi, sostenuti dai milanesi, si scontrarono con il neoeletto Giovanni di Scanzo, vescovo di Bergamo e loro "signore". Tre anni dopo, il vescovo morì e la questione passò nelle mani di Cipriano degli Alessandri, senza alcun mutamento.
Solo nel 1315, non perché umiliati e perdenti, ma per le mutate condizioni politiche, i faresi chiesero e ottennero l'assoluzione.
Nel 1525 il duca di Milano Francesco II Sforza, nominò Giovanni Paolo marchese di Caravaggio. Il nuovo ordinamento segnò la fine della situazione anomala di Fara che, nella Geradadda, era l'unica ad avere un suo feudatario ecclesiastico, con piena giurisdizione civile e religiosa.
Successivamente, i Melzi, nobile famiglia milanese, presenti a Fara sin dal 1464 con vastissime proprietà terriere, riuscirono a sottrarsi al nuovo potere, gettando altresì le basi di quello che, a partire dal 1580, sarà il Comune Massari de Melzi,con sede nella cascina Badalasca, autonomo ed interamente separato da quello di Fara. Nel primo quarto del secolo successivo, i faresi terminarono la costruzione della nuova chiesa parrocchiale di S. Alessandro, essendo crollata o quasi l'antica basilica.
La fine del seicento segna la fine de Marchesato di Caravaggio, per la morte dell'ultimo marchese senza lasciar eredi maschi.
Nel frattempo, gli Spagnoli avevano passato la mano agli Austriaci nel governo del ducato di Milano. Nel 1784 Giuseppe II volle unificare i confini religiosi del ducato con quelli civili, per cui la parrocchia di Fara, già ducato di Milano per il civile, cessò di far parte della diocesi di Bergamo e venne aggregata a quella di Milano.
L'abbondanza dei documenti d'archivio ci presenta un quadro nero dell'ambiente farese nell'Ottocento: forti tempeste nel 1810, gravissime carestie nel 1855 - 1862 - 1863 - 1866 -. 1867, il vaiolo nel 1884 . 1888 - 1896, pellagra, scabbia nel 1877…..una sequela interminabile di flagelli che sconvolsero letteralmente il paese.
A sollevare leggermente le condizioni economiche, arrivo nel 1870 la società Ceriani & C. con la costruzione di uno stabilimento di filatura per la lavorazione del lino e della canapa. Società che nel 1873 cambiò ragione sociale in Linificio e Canapificio Nazionale (L.C.N.).
Tra rivendicazioni operaie, emigrazioni, recessione dell'agricoltura, il Novecento denota un certo risveglio con il sorgere di attività sociali e previdenziali promosse da cattolici, socialisti, liberali, e dal L.C.N
Autari, terzo re dei Longobardi in Italia, venne eletto nel 585. A lui la tradizione attribuisce l'insediamento della sua tribù o fara sulle rive dell'Adda, luogo che acquistò in seguito notevole importanza, per avervi il re costruito un palazzo ed una basilica di culto ariano, e che da lui si chiamò FARA AUTARENA.
Quasi cento anni erano trascorsi con i Longobardi al potere, quando sulla scena politica italiana apparvero due personaggi "chiave" della nostra storia, il re Grimoaldo e il vescovo Giovanni di Bergamo, autore questi della conversione degli ariani faresi al cattolicesimo.
Sei diplomi imperiali, confermano l'esistenza a Fara, nel secolo VI, di un luogo riservato al culto e dedicato a S. Alessandro martire.
Il monumento anche se diroccato, esiste ancor oggi "sotto gli occhi di tutti", in piazza Roma.
Conosciuta oggi come "oratorio di Santa Felicita", la basilica Autarena conserva ben poco delle sue antiche forme architettoniche. A conclusione di studi, condotti con meticolosa accuratezza, si può assegnare la costruzione della basilica farese alla fine del VI secolo.
Travolto il regno longobardo da Carlo Magno nel 774, la nostra storia, per alcuni secoli, registra quasi unicamente azioni di guerra, vandalismi, invasioni, distruzioni.
Nel 904, il vescovo di Bergamo Adalberto ottenne da Berengario la facoltà di ricostruire e fortificare la città di Bergamo, e di cingere di mura e fossati i paesi del contado. E' da supporre, pertanto, che il vescovo abbia dato corso anche alla fortificazione di Fara: scavò un fossato, alimentato dalle rogge derivate dal fiume Adda; lo cinse di mura e costruì il castello.
Fara, che potremmo definire comune "feudale" ebbe i suoi amministratori pubblici, i consoli, sottomessi, o quasi, al feudatario bergamasco.
Il periodo attorno al Mille sembra caratterizzato da un forte risveglio demografico e da una maggiore produzione agricola. La presenza dei milanesi è ormai un fato documentato, come documentata è la loro ambizione al possesso delle terre, nonché alla "signoria" del paese. E mentre da una parte i faresi ne godevano, dall'altra la faccenda non garbava al vescovo di Bergamo che vedeva minacciata la sua signoria. A lui venne in aiuto l'imperatore Federico Barbarossa che con diploma del 1156 gli aveva riconfermato in pieno la giurisdizione su Fara. Nel 1160 i faresi, sudditi del vescovo Gerardo, si opposero all'imperatore. Ne scaturì una lunga e aspra battaglia, ove l'imperatore riuscì a prendere il castello, che venne raso al suolo, demolì parte delle mura e distrusse il paese.
Nel dicembre del 1306 le aspirazioni libertarie dei faresi, sostenuti dai milanesi, si scontrarono con il neoeletto Giovanni di Scanzo, vescovo di Bergamo e loro "signore". Tre anni dopo, il vescovo morì e la questione passò nelle mani di Cipriano degli Alessandri, senza alcun mutamento.
Solo nel 1315, non perché umiliati e perdenti, ma per le mutate condizioni politiche, i faresi chiesero e ottennero l'assoluzione.
Nel 1525 il duca di Milano Francesco II Sforza, nominò Giovanni Paolo marchese di Caravaggio. Il nuovo ordinamento segnò la fine della situazione anomala di Fara che, nella Geradadda, era l'unica ad avere un suo feudatario ecclesiastico, con piena giurisdizione civile e religiosa.
Successivamente, i Melzi, nobile famiglia milanese, presenti a Fara sin dal 1464 con vastissime proprietà terriere, riuscirono a sottrarsi al nuovo potere, gettando altresì le basi di quello che, a partire dal 1580, sarà il Comune Massari de Melzi,con sede nella cascina Badalasca, autonomo ed interamente separato da quello di Fara. Nel primo quarto del secolo successivo, i faresi terminarono la costruzione della nuova chiesa parrocchiale di S. Alessandro, essendo crollata o quasi l'antica basilica.
La fine del seicento segna la fine de Marchesato di Caravaggio, per la morte dell'ultimo marchese senza lasciar eredi maschi.
Nel frattempo, gli Spagnoli avevano passato la mano agli Austriaci nel governo del ducato di Milano. Nel 1784 Giuseppe II volle unificare i confini religiosi del ducato con quelli civili, per cui la parrocchia di Fara, già ducato di Milano per il civile, cessò di far parte della diocesi di Bergamo e venne aggregata a quella di Milano.
L'abbondanza dei documenti d'archivio ci presenta un quadro nero dell'ambiente farese nell'Ottocento: forti tempeste nel 1810, gravissime carestie nel 1855 - 1862 - 1863 - 1866 -. 1867, il vaiolo nel 1884 . 1888 - 1896, pellagra, scabbia nel 1877…..una sequela interminabile di flagelli che sconvolsero letteralmente il paese.
A sollevare leggermente le condizioni economiche, arrivo nel 1870 la società Ceriani & C. con la costruzione di uno stabilimento di filatura per la lavorazione del lino e della canapa. Società che nel 1873 cambiò ragione sociale in Linificio e Canapificio Nazionale (L.C.N.).
Tra rivendicazioni operaie, emigrazioni, recessione dell'agricoltura, il Novecento denota un certo risveglio con il sorgere di attività sociali e previdenziali promosse da cattolici, socialisti, liberali, e dal L.C.N