Descrizione
Valerio Daprà di anni 56, Marco Piffari di anni 56, Davide Bernardello di anni 36. Sono i nomi dei tre carabinieri rimasti uccisi martedi 14 ottobre durante il compimento del proprio dovere a Castel d’Azzano, nel veronese. Voglio dare inizio a questa mia pur breve riflessione, oggi, Giornata dell’Unità Nazionale e a ricordo della fine della prima guerra mondiale scoppiata 110 anni fa, e Giornata della Forze Armate, ricordando ed onorando, quanti sono dediti al servizio in armi, partendo proprio dal nominare i tre servitori dello Stato tragicamente deceduti. A loro e a tutti i militari e le forze dell’ordine vada il nostro sentito grazie per quanto quotidianamente operano per garantire il rispetto della Legge, la sicurezza dei cittadini e la difesa dello Stato. Anche ai militari presenti, a partire dal Luogotenente Federico Turchi, ai militari della nostra stazione Carabinieri, ai militari della Guardia di Finanza che oggi ci accompagnano in questa solenne rievocazione storica, rivolgo un sentito grazie a nome di voi tutti presenti e della nostra intera comunità locale. La ricorrenza del 4 Novembre continua a ricordarci il definitivo compimento del sogno risorgimentale dell’Unità nazionale e del prezzo pagato per quel traguardo. Significa, infatti, ricordare e onorare innanzitutto i caduti – tutti i caduti – della prima Guerra mondiale, che causò la morte di milioni di soldati e un numero imprecisato di feriti e minati nel fisico e nella mente. Un percorso lungo, sofferto, lastricato di sacrifici, dolore e lutti. Ogni nome di soldato caduto racconta un frammento della nostra storia. Giovani che non hanno avuto la possibilità di vivere il futuro che avevano desiderato. La nostra storia, anche quella di oggi, è il frutto di quella sofferenza e sèguita ad avere valore se continuiamo a farne memoria. Memoria che si traduce nella consapevolezza, innanzitutto, di quanto sia terribile la guerra, ogni guerra. Un sentire comune radicato in un’Europa che, proprio dalla dura lezione del passato, ha voluto intraprendere un cammino ineludibile di concordia e di pace. E non è un caso se a costruire i pilastri che sorreggono l’unità europea, sia stata la generazione che ha portato sulla propria carne le cicatrici dei due devastanti conflitti mondiali. Tanto che oggi ci siamo abituati alla pace, consapevoli che il cammino europeo è stato in questi decenni l’antidoto più forte a egoismi e nazionalismi. Purtroppo non è così sulla scena internazionale. Prendo a prestito le parole che il Capo dello Stato ha proferito in occasione della vista di Papa Leone XIV al Quirinale lo scorso 13 ottobre. Viviamo tempi di grande difficoltà.Il Secondo dopoguerra aveva saputo puntare a un mondo costruito sul multilateralismo, su di un sistema che prevedeva il dialogo per la risoluzione delle controversie. Un sistema che oggi sembra progressivamente accantonato.Le istituzioni allora sorte appaiono indebolite - talvolta strumentalmente, e irresponsabilmente, delegittimate - e non in grado di incidere con la necessaria efficacia sulle crisi attuali. Preoccupa il venir meno di meccanismi che costruiscono fiducia tra gli Stati. In questo scenario, la logica del più forte, la tentazione di fare ricorso alle armi per risolvere una disputa, sembrano talvolta prevalere. Dignità e diritti di singoli, di gruppi, di popoli sono sovente calpestati. L’aggressione russa su larga scala in Ucraina, a distanza di quasi quattro anni, continua a mietere vittime civili innumerevoli, a seminare morte e distruzione, a gettare una inquietante ombra di insicurezza sull’intero continente europeo. In Medio Oriente, alla ferita atroce dell’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, ha fatto seguito una reazione che ha superato non soltanto criteri di proporzionalità, ma anche i confini di umanità. Oggi c’è “una scintilla di speranza”. La liberazione degli ostaggi rimasti in vita è di grande valore e coinvolge quanti hanno a cuore civiltà e dignità delle persone, rivolgendo un pensiero a quanti sono morti in quella crudele condizione di prigionia. Il cessate il fuoco a Gaza consente di iniziare a porre riparo a quella popolazione, così provata da brutale sofferenza. Vorrei riaffermare che la pace vera, duratura, risiede nell’animo dei popoli. Diversamente, sotto la cenere della fine delle violenze cova il rancore, pronto a divampare nuovamente alla prima occasione che possa essere sfruttata, per rendersi conto allora che la fine delle violenze si trasforma, purtroppo, in una parentesi tra due esplosioni. Ucraina e Medio Oriente sono soltanto due dei principali scenari di guerra, quelli a noi più vicini. Non aspiriamo soltanto a una interruzione nelle violenze: non possiamo sentircene appagati. Aspiriamo a una condizione che faccia riprendere ai popoli uno stabile percorso di pace e di collaborazione nella vita del mondo.A fare le spese di un mondo nel quale la convivenza pacifica è messa così in pericolo, sono sempre i più vulnerabili, soprattutto bambini e giovani. Non è accettabile che venga sottratto il futuro a intere generazioni.”Fin qui il Presidente Mattarella…Cari concittadini, solo per fare un tragico esempio, la guerra a Gaza, apice della brutalità di una guerra, insieme a quella della Russia nei confronti della martoriata Ucraina, ha dato la morte a quasi 15000 bambini e più di 20000 sono rimasti feriti. Nessun altro conflitto della modernità ha colpito tanto l’infanzia. A Gaza, il 90% delle scuole state distrutte e centinaia di migliaia di studenti sono fuori da ogni percorso scolastico. Oltre 5000 bambini sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione acuta. Le epidemie si estendono. Per capire fino in fondo dobbiamo rimandare alle immagini che le televisioni ogni giorno ci hanno riproposto: tra le macerie di intere città ci sono bambini che non giocano più, non possono rifugiarsi neppure tra le braccia dei genitori spesso morti o dispersi. Bambini soli che piangono perché hanno fame e sete. Bambini avvolti nelle lenzuola bianche della morte. Bambini che hanno una sola speranza: quella di sopravvivere almeno fino al giorno dopo. Questo è ciò che produce la guerra.
Cari concittadini, vengono in mente le parole del cardinal Martini, quando diceva che “solo se ogni popolo guarda il dolore dell’altro, la pace si avvicina”. Ma quando questo si potrà veramente avverare? Oggi, commemorazione della giornata del 4 Novembre il nostro pensiero vada anche ai nostri militari presenti nelle varie missioni internazionali di pace. Lo scenario di apprensione e preoccupazione, reclama un’Europa in grado di esercitare la propria positiva influenza. Occorre ancora lavorare perché l’Unione europea sia “capace di testimoniare con convinzione i propri valori di pace, cooperazione, rispetto dei diritti delle persone e dei popoli”. Oggi più che mai c’è bisogno di un’Europa, che ancora stenta a mettere in gioco tutto il peso specifico di una consapevolezza che le deriva dalla dura lezione della propria storia. Oggi più che mai occorre accelerare una costruzione ancora incompleta, perché è necessaria una voce europea autorevole più unita, coesa e tempestiva, di fronte a problemi che non possono essere affrontati e governati con lo sguardo rivolto alla vecchia idea di nazione. E in questo compito il posto dell’Italia non è quello di un passeggero sul treno europeo, ma quello di uno dei Paesi che ha contribuito a fondare l’idea stessa di questo cammino.
Chiediamo pace quindi, pace nella nostra Europa, pace nel mondo intero ricordando insieme coloro che per un avvenire di pace hanno sacrificato la propria giovane vita.
Viva le forze armate per il mantenimento della pace, viva la Repubblica, viva la Costituzione e viva l’Italia
Raffaele Assanelli
Sindaco
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Ultimo aggiornamento: 2 novembre 2025, 14:28